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Al Caffé Petit nuovo capitolo di “Vedere la città“
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Diciamo la verità, sospetto che la cosa nasca per brutale necessità. Che si può fare quando, abituati a vedere e fotografare con luce diurna, anzi col sole, creatore di quelle vaste e profonde ombre che ho assunto quale ingrediente essenziale della mia ricetta visiva e questa luce - quando c'è - dura soltanto poche ore centrali della giornata?
Fare a meno di luci e ombre giammai, allora le cerchiamo in un diverso territorio, per così dire a valori ribaltati: un filo di luce naturale, fatto di riverberi atmosferici più la luce artificiale, concentrata e violenta . Atmosfere strane, se non sinistre, da lettore di noir sono garantite. Semmai non è sempre facile gestirle.
Eccomi allora con fotocamera, treppiedi, in tasca esposimetro - per verifica, non si sa mai - e un cartoncino al posto della mano per schermare la luce assassina di quel lampione lì a due metri.
Predisporsi a esplorazione, delusioni e sorprese.
Perchè la città che si offre la notte (in realtà tardo pomeriggio) è una città completamente diversa dalla solita che conosciamo come le nostre tasche. Non migliore o peggiore, semplicemente diversa e non di poco.
Intanto il cielo sembra che non esista ma non è proprio così. Certo nessun lampione lo illumina, tuttavia qualche particella di luce sopravvive e scaccia il nero assoluto.
Poi la luce non è diffusa ma a chiazze, il che produce effetti e atmosfere particolari; è violenta e crea forti contrasti; spesso è in campo. Da ultimo il bianco e nero come scelta espressiva diventa quasi obbligato: la notte non è a colori a a valori tonali.
(segue)
Continua la serie di portfolios di Vedere la città, Il più recente capitolo di quel romanzo a puntate di durata illimitata che è la mia ricerca urbana.
Voglio ricordare che mi considero un adepto del cosiddetto stile documentario, il che in fotografia non significa che i nostri risultati attestino, certifichino la realtà del soggetto; ma che ne richiamino le caratteristiche, presentandole in modo diretto, senza interventi artistici, addirittura facendo si che non si avverta la mano dell’artefice. Una sorta narrazione in cui il narratore scompare e sembra che non esista, che la narrazione si svolga da sè e siano i fatti stessi a presentarsi e parlare.
In realtà però il narratore esiste e opera in modo determinante sebbene apparentemente occulto. Allora parliamo di stile.
Il momento iniziale del lavoro si può definire riconoscimento, una specie di insight o intuizione. Alla ricerca del profondo piacere che vi si associa percorro, con le condizioni adeguate (bel tempo, luce pulita e ben
Quando nel 1965 Gipo Farassino pubblicò un 45 giri dal titolo "Sangon Blues" le spiagge di quel torrente erano già in disuso da alcuni anni causa inquinamento e chiusi i modesti stabilimenti nati all'inizio del '900.
Qui siamo inveceLa spiaggia del Blues si trovava comunquea un paio di chilometri di distanza in direzione della sorgente, entro quello che ora è il Parco Boschetto. Luogo di storia, che si chiamava Parco Miraflores o Milleflorum a ridosso del Castello che non c'è più.
Qui siamo invece in territorio di Moncalieri all'altezza del ponte di via Torino. Perchè mai un torrente lungo appena 47 chilometri dalla sorgente di Colle Roussa (appunto in Val Sangone) alla confluenza col Po mi ha attratto fotograficamente?
Gli argini, manufatti che pur perdendo in parte la loro imponenza e soprattutto continuità fanno pensare piuttosto che a un torrente al maestoso Po lungo in quale degnamente sopravvivono a tratti.
Ne ho seguito così le sopravvivenze, ben mantenute e pulite, lungo la sponda destra dove si mescolano visivamente con le costruzioni offrendo anche scorci più agresti. Ovviamente con la massima attenzione alle ombre.
Tra parentesi: non soltanto il citato chansonnier tira in ballo l'ambiente della nostrana popolare balneazione, ma anche il ben più autorevole Cesare Pavese nella poesia "Tradimento" (1931).
